McConnell, un intruso alle Finals: fisico da ragioniere, senza tiro, ma cervello fino

Non era previsto che fosse lì, a giocarsi le Finals. Anzi, era impensabile. Con un fisico da impiegato che fa palestra, con un’altezza (185cm) non da giocatore di pallacanestro. Senza tiro da 3 punti poi, sacrilegio per una guardia di questi tempi. Eppure TJ McConnell è il sesto uomo degli Indiana Pacers che si stanno giocando le Finali Nba contro i Thunder. TJ è l’anima della squadra di coach Carlisle, il guerriero senza paura di niente e di nessuno che dalla panchina dà l’esempio ai compagni, quello che porta in partita in pubblico con la difesa da piranha, le scorribande da pirata in area avversaria. Fonte inesauribile di energia. Col coraggio e l’incoscienza di chi non accetta i limiti fisici che gli ha imposto la natura. Con la ferocia agonistica di chi vuole vincere e se ne frega dei suoi limiti tecnici. Battaglia senza andare sotto contro i colossi super atleti avversari. Se Davide ha battuto Golia perché il piccolo indomito TJ non può avere l’ultima parola sul parquet? L’aspettava da 10 anni di carriera Nba questa occasione, la aspettava da tutta la vita, da 33 anni. Sta dando tutto come sempre, più che mai. Vincerà o perderà, ma statene certi: non avrà rimpianti. Non ne fanno più così, hanno buttato lo stampino. Peccato. McConnell è un giocatore di ruolo in Nba. Una tessera del puzzle di squadra, incastro cruciale, ma non il pezzo più grande. Brilla di luce riflessa, dipende dal contesto. Lui può dare il meglio, ma col suo rendimento, non basta per cambiare le sorti di una franchigia. Sono tanti i giocatori di ruolo in Nba, la stragrande maggioranza. Hanno il trolley sempre pronto e non solo per le trasferte di squadra, ma perché devono cambiare indirizzo, città, spesso. Spediti da una parte all’altra dell’America. Lui no. E qui cominciano le differenze. Perché TJ non è come gli altri, è speciale. Non l’ha scelto nessuno al draft 2015. Troppo piccolo, troppo poco atletico, troppo poco tiratore. Nelle statistiche avanzate c’era scritto che non era un giocatore Nba e gli scout non hanno saputo ragionare in proprio, guardare oltre. Non ha le braccia lunghe, non segna triple, non corre veloce: bocciato. Non hanno pensato che il valore aggiunto TJ l’aveva tra le tempie: un cervello che è un radar di letture di basket, una testa da leader di uomini. Non hanno pensato che il valore aggiunto l’aveva nel cuore, eppure non ci sarebbe stato bisogno di spezzargli il torace per rendersi conto che si alzava e andava a dormire ogni giorno pensando al basket. Palpitava per l’adrenalina che offre la competizione sportiva. Che era disposto a soffrire più dei suoi antagonisti, a maltrattare corpo e anima pur di vincere. Non era scritto nei numeri, ma chi gli ha dato una chance l’ha scoperto presto. I Philadelphia 76ers se lo sono tenuti stretto per quattro stagioni, dal 2015 al 2019. Quel guerriero nativo proprio della Pennsylvania, di Pittsburgh, con la testa di chi non accetta di andare sotto, di chi non si arrende mai, quella dei ragazzi di quello Stato del film "Il Cacciatore", che vanno in guerra in Vietnam, quelli della roulette russa, che non accettano la fine persino quando il copione non prevede altro. McConnell a Philly ha dimostrato di poter stare nella lega dei giganti. Ha trovato la sua dimensione da “scossa” in uscita dalla panchina. Regista del secondo quintetto: punti, assist, palle recuperate, tuffi. “Come faccio a portare sempre quell’energia sul parquet? Sono questo…”. Ha trovato una nuova casa, nell’Indiana. Gioca lì dal 2019, forse ci giocherà sino a fine carriera. Ha un contratto garantito sino al 2028, ha firmato un rinnovo quadriennale da quasi 45 milioni di dollari. Lo vogliono con loro i Pacers. Perché è il 174° uomo assist Nba di tutti i tempi, ne ha smazzati più di Devin Booker e Bradley Beal. Perché quando tutti tremano lui è un pesce nell’acqua. Un esempio? Gara-1 delle Finals, Oklahoma City. I Pacers accumulano 18 palle perse in 24’, nel panico. Lui no, chiude la partita, poi vinta, con 0 palle perse, 4 assist in 17’. Ha segnato 20 punti alle Finals, tirando 9/13, 2/2 da 3 nonostante il 30% stagionale. Quando conta entreranno, come mantra. Sembra il “La gente verrà” nel film Field of Dreams con Kevin Kostner. Lo sport è anche questione di fede. TJ ha fatto il college a Duquesne, nella sua Pittsburgh. Due stagioni alla grande, poi un ateneo di nome “si è svegliato” e Arizona University l’ha porato nello splendido campus di Tucson. Altre due stagioni strepitose da Wildcat: punti, assist, difesa “avvelenata”. Raccontato come un rubacuori, extra campo. Del resto con quella personalità mica può stupire: biondino dalla faccia tosta e dal sorriso complice. Il basket è un affare di famiglia. La sorella, pure lei stella difensiva al college a Duquesne, gioca professionista, in Wnba per Phoenix. Prima di gara-1 delle Finals TJ è arrivato alla partita vestendo la maglia delle Mercury di Megan, mentre lei arrivava alla sfida con Golden State indossando la n. 9 del fratello. Forse è giusto così. Forse è naturale che in queste Finals 2025 con protagoniste squadre che rappresentano piccoli mercati, a caccia del primo titolo di franchigia, con la bacheca ancora vuota, si prendano la ribalta TJ McConnell e Alex Caruso, sinora 6° uomo e gregario strepitoso per i Thunder. Atleti con ovvi limiti fisici e tecnici, ma ragazzi che vogliono disperatamente vincere, che danno tutto, non pensano ai numeri personali. Per loro conta solo il risultato di squadra. Rappresentano roster forse imperfetti rispetto alle superpotenze tradizionali, però gruppi squadra in cui tutti remano nella stessa direzione. Capite perché sono arrivati alle Finals mentre i grandi nomi e i grandi mercati le guardano in tv?

McConnell, un intruso alle Finals: fisico da ragioniere, senza tiro, ma cervello fino

TJ è il sesto uomo dei Pacers, un guerriero, con una grande intelligenza cestistica, l'anima della squadra di coach Carlisle

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