Liti, stipendi pagati di tasca propria, lotta a "squallidi e ipocriti": quando Rino va in battaglia

Fin dall’iconico soprannome - Ringhio - il neo c.t. della nazionale rimanda ad un modo di porsi frontale, a muso duro, da “diciamoci tutto e diciamocelo in faccia”, con l’anima in spalla e il tackle, reale o verbale, in canna. Verrebbe da dire che lì dove c’è battaglia, c’è Gattuso. Nel mondo di Ringhio si combatte per l’idea di squadra, per un ideale virtuoso, per un diritto o un dovere, per una questione di principio, in difesa di qualcuno, attaccando qualcun altro - un collega, un giornalista, un presidente - perché così è. C’è una frase che spiega bene la pasta di Ringhio, l’ha detta di recente, dopo qualche mese che era (lui e la squadra senza stipendio) all’Hajuduk di Spalato. “I giocatori mi hanno dato il cuore e io non li mollo. Non voglio deluderli. Preferisco combattere”. Non sempre gli è andata bene, ma tant’è. Il cuore ha la centralità nel lavoro di Rino, l’ardore che ci mette nelle sue battaglie è una conseguenza. La sua figura di allenatore ricalca quella del campione che è stato in campo, l’indomito mediano, il portatore sano di ferocia, l’uomo che - come sentenziò una volta per tutte Ibrahimovic - “in battaglia vorrei sempre al mio fianco”. Per informazioni chiedere a Josko Jelicic, l’ex calciatore croato oggi opinionista con cui quest’anno Gattuso ha avuto un durissimo litigio verbale in diretta tivù. Quella volta, va detto, Ringhio sbagliò nell’affrontare Jelicic, col dito alzato e l’aria minacciosa. Si sa: lo sfogo fa sbagliare spesso la misura. Gattuso si scagliò contro il croato, accusandolo - in un clamoroso grammelot di tre lingue: inglese, spagnolo, italiano - di “non avere rispetto delle persone” e cadendo poi nella trita retorica di “Cos’hai vinto tu nella vita? Sei una cattiva persona”; come se soltanto vincere potesse dare o meno l’abilitazione per un’opinione. Forse, ripensandoci, spiegherebbe che “m’è scattata l’ignoranza”, come fece quella volta quando, da giocatore del Milan, prese per il collo il dirigente del Tottenham, lo “Squalo” Joe Jordan. Nel suo percorso da allenatore, il battagliare gli è stato dolce. Ha per sua stessa ammissione un carattere che, per dirla alla Celentano, “prende fuoco facilmente”. Nel 2016, durante la finale playoff per salire in B tra Foggia e Pisa, Gattuso venne colpito da una bottiglietta lanciata dalla tribuna. Ne seguì un acceso diverbio (eufemismo) con il collega De Zerbi, e insomma, scene da far west. Combattere è la sua cifra stilistica, ma pure esistenziale. Da allenatore ha trovato spesso situazioni complesse, società precarie, contesti tormentati dov’era facile cedere - anche senza cercarla - alla conflittualità. L’esperienza all’Ofi Creta segna, in un certo modo, un prima e un dopo. È il momento in cui, probabilmente, Gattuso capisce - sul serio - che il mondo che ha frequentato da calciatore, visto dalla prospettiva della panchina è tutta un’altra cosa e rivela zone d'ombra impreviste. A un certo punto i calciatori, senza stipendio, smisero di presentarsi al campo. Gattuso si dimise, poi ci ripensò, tornò con senso di responsabilità al suo posto. E, dimostrando una nobiltà non comune, pagò di tasca propria gli stipendi dei calciatori. Più o meno quello che accadde a Pisa. Quando la crisi della società gli impose un’altra volta di scegliere da che parte stare. E Gattuso scelse la squadra. Specificando: “Basta personaggi squallidi. Il calcio deve essere una cosa seria”. Contribuì, anche lì, al pagamento degli stipendi. La storia ci dice che il rapporto di Ringhio con il denaro è dettato da una signorilità che, nel mondo del calcio, è assai rara. Quando se ne andò dal Milan - dopo un biennio che gli aveva logorato l’anima per i risultati non all’altezza delle ambizioni nella sua squadra del cuore - rinunciò alla buonuscita. Erano quasi due anni di stipendio, 11 milioni. In buona sostanza disse: pagate i miei collaboratori, per quanto mi riguarda sono a posto. Identica modalità al momento del congedo con il Valencia. Venne esonerato, rinunciò ai soldi, ma si preoccupò del suo staff. E prima, a Napoli, durante il Covid, si diede da fare per pagare staff e magazzinieri. Con i giocatori generalmente il legame è solido, ma ci sono eccezioni. All’Hajduk si è scontrato con l’ex interista Perisic. Era successo anche al Milan, con Montolivo. I veleni, gli strali, arsenico e vecchi dispetti. “Perisic è venuto da me a dirmi che voleva andarsene”, disse Ringhio. Era agosto, la stagione stava iniziando. Gattuso mise il croato fuori squadra per motivi disciplinari. A Marsiglia si sfogò con la squadra definendola “Senz’anima” (aveva tirato in ballo l’anima anche in un periodo di crisi al Milan), confessò che “abbiamo toccato il punto più basso: peggio non si può fare”. Una volta, dopo un Inter-Napoli, attaccò l’arbitro (Massa), reo di aver espulso Insigne, con una motivazione bizzarra ma che suscita simpatia: “Solo in Italia gli arbitri ti mandano fuori perché li mandi a cag***. Se dici 'fuck off' in Inghilterra nessuno ti dice niente. Solo in Italia l’arbitro butta fuori il capitano del Napoli perché lo manda a fan**** per un rigore dubbio. Solo in Italia, così si cambiano le partite. Così io avrei giocato una partita sì e una no”. Non è stato tenero nemmeno con i presidenti che ha avuto ad inizio carriera. Di Christian Constantin del Sion disse che “è matto ma almeno è educato”, ancora più definitivo con Maurizio Zamparini, che lo esonerò al Palermo. “Il problema di Zamparini è che è totalmente incompetente. Mi chiamava nel cuore della notte per rifare la formazione. Non ci capisce niente. E poi è ipocrita e cattivo”. A noi piace di più il Gattuso “anema e core” che - è successo quest’anno con l'Hajduk - vede due suoi calciatori, Bamba e Hrgovic, che dopo aver festeggiato un gol, si attardano a bordo campo per bere un po’ d’acqua e non sanno di rischiare grosso, perché Ringhio scatta e comincia a strattonarli e a spingerli in campo. E se quelli avessero perso del tempo, li avrebbe presi a calci nel sedere. Gesto legittimo? Si apra il dibattito.

Liti, stipendi pagati di tasca propria, lotta a "squallidi e ipocriti": quando Rino va in battaglia

Da allenatore come da calciatore, Gattuso non ha paura di andare a muso duro. I bersagli? Commentatori, arbitri, avversari, situazioni precari. E non ne fa mai una questione di soldi. Anzi, a volte ce li rimette

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