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Il bimbo che contava i punti s'è preso il basket italiano: Poeta, la magia della normalità

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Andava col padre a mangiarsi con gli occhi i campioni, da piccolo non lo convocavano e si chiudeva in palestra, si allenava, studiava, sognava e pian piano divorava le tappe. Oggi Peppe si gioca la finale scudetto da allenatore, e la sua storia insegna che nella vita "vincono gli abili, non gli alibi"

Mario Canfora
Giornalista

Non vi racconteremo le storie di chi si alzava all'alba per tirare a un canestro e poi è arrivato nell'Nba. O di chi marinava la scuola per andare a giocare di nascosto e ha poi vinto titoli su titoli. O chi si era fatto dare le chiavi della palestra sotto casa per allenarsi a qualsiasi ora del giorno e della notte. Nulla di tutto questo. Le storie a effetto nelle prossime righe non le leggerete. Ogni tanto succede ancora che si possano fare i conti con la normalità. Quella di un ragazzo nato e cresciuto in una normalissima famiglia italiana. Nessuna ricchezza, nessuna vita agiata, nessun privilegio. Peppe Poeta è uno "Special normal", è l'emblema del perfetto ragazzo italiano. Un ragazzo ormai grandicello. Lui è la classica figura sportiva capace di ben figurare in qualsiasi cosa. Non c'è un perché, sono semplicemente quei profili tagliati per primeggiare sempre. Da giocatore. Da allenatore. E diremmo anche da dirigente, chissà. Peppe Poeta da Battipaglia, 40 anni il prossimo 12 settembre, come dicono i suoi amici più stretti è "uno che sap' campà", che dal napoletano viene tradotto in un "è uno che sa stare al mondo". Mai una parola fuori posto, mai una scostumatezza. E sorrisi, tanti sorrisi. Da mercoledì sera è il tecnico che, con Brescia, giocherà nei prossimi giorni nientemeno che la finale scudetto contro la Virtus Bologna. Tutto questo al suo primo anno da capoallenatore. Non male, vero?

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